Heidegger Ripensa Nietzsche: L’assenza di Mondo (Capitolo 3). Di Luis Rega

assenza

Il cerchio si chiude!


Per me è ora un grande onore presentarvi l’ultima parte di questa trilogia di Luis Rega: diamo il benvenuto a “Heidegger Ripensa Nietzsche: L’assenza di Mondo”! Finalmente potremo avere una degna conclusione di questa avventura cominciata quasi due anni fa. Non voglio togliere ora a questo articolo ulteriore spazio.

Mattia Mandalà

L’assenza di Mondo. Di Luis Rega

Eravamo giunti alla constatazione dell’assenza di dio, intraprendendo il discorso da una sorta di “assenza dell’uomo”[1], in quanto incapace di pensare autenticamente, ossia tramite la poesia che rivela verità; la conseguenza di questa “assenza” o “impotenza” è l’impossibilità di “creare”, o per meglio dire “svelare”, un nuovo dio per due millenni. All’assenza dell’uomo segue l’assenza di dio. Dunque bisogna chiedersi cosa implica l’assenza di dio.

Da qui l’analisi di Heidegger su Nietzsche continua, riprendendo una frase emblematica in “Al di là del bene e del male”:


<< Intorno all’eroe tutto diventa tragedia, intorno al semidio tutto diventa dramma satiresco; e intorno a dio tutto diventa – che cosa? “mondo”, forse? >>


A tal proposito Heidegger afferma che, secondo Nietzsche, è “la soggettività del soggetto” che ” determina l’oggettività dell’oggetto”, vale a dire che sono i soggetti che, agendo, definiscono ciò che è intorno ad essi.
Ora, accordando i due detti nietzschiani riguardanti l’assenza di dio e la determinazione dell’oggetto intorno a dio (il mondo), risulta che se nessun dio viene più “creato”, nessun mondo possa più sussistere.
Il “fondamento” del pensiero nietzschiano, riguardo al “divenir-mondo”, consiste nell’affermare che, poiché l’uomo è senza-dio, allora sarà conseguentemente senza-mondo, ovvero non solo esperirà l’assenza di dio ma, una volta esperita questa, esperirà l’assenza di mondo.
Circa ciò, Heidegger suppone che Nietzsche ha pensato quello che un pensatore moderno, gettato[2] nel mondo a quell’altezza storica, avrebbe dovuto propriamente pensare.


L’assenza di patria

La riflessione nietzschiana sull’uomo moderno che segue è: se l’uomo, non essendo più
“pensante”/”creante”, non ha più un dio da ascoltare e non ha più un mondo a cui appartenere, non avrà più nemmeno una patria che lo reclama.
Heidegger in merito a ciò asserisce: “divenuto senza-dio (Gott-los) e senza-mondo (welt-los), l’uomo moderno è senza-patria (heimat-los)”, per questo l’uomo moderno si sente a disagio proprio quando sente che deve sostituire la patria con un’altra.
Secondo Heidegger, Nietzsche ha patito queste assenze nell’uomo moderno in un’epoca di progresso, di “crescita apparente”. Ma poi egli si chiede: dove si riscontra un accordo tra tali assenze e l’assenza di patria nel pensiero nietzschiano?
In una poesia del 1894, a cui sono stati dati dall’autore vari titoli tra cui “Lo spirito libero” e “Mal di patria”. Il componimento, in cui è poetata l’assenza di patria, recita nell’ultima sesta strofa:


<< Senti i corvi crocchiare,

sciamando in frulli al vento verso città.

Presto verrà a nevicare:

disgrazia per chi non ha una patria da abitare >>


Nella poesia Nietzsche non solo si stava lamentando della perdita della patria, ma già nella terza strofa poetava la consapevolezza che avrebbe dovuto “migrare tra neve e gelo” verso il “più alto cielo”, quindi “il più freddo punto”; vale a dire che avrebbe dovuto, perduta la patria, volgere il suo spirito nello spazio aperto e libero.
Nella prima strofa, rispetto all’ultima, cambiava solamente l’ultimo verso:


<< beato chi ancora ha patria da abitare >>


Heidegger sottolinea, nel raffronto tra le due strofe, la mancanza dell’articolo “una” riferito al termine “patria” (“oggetto” da intendersi nel modo più generale) che, accostata alla parola “ancora”, fornisce una doppia chiave di lettura: non solo è beato chi è reclamato ancora da una patria, ma è beato anche colui che ha “presentimento di patria ed è in cammino verso una patria nuova”, cioè beato è chi ha oltrepassato la perdita della patria, ne ha superato il trauma e ora ne sta cercando una nuova[3].

Segue a questa poesia un’altra: “Risposta”.
Essa ci fornisce la giusta interpretazione da dare a “Mal di patria”, onde evitare di fraintendere il senso della poesia, il quale non tratta di un desiderio di ritorno alla patria che si è persa. Essa recita:


<< Dio misericordioso!

Chi crede che io agogni a tornare

al caldo tedesco afoso,

alla felicità da camera del tedesco ottuso!

Amico mio, è

il tuo buon senso che mi frena e tiene,

pietà di te!

Obliquo buon senso tedesco, pietà di te! >>


Dalla prima strofa Heidegger evince che per Nietzsche il “mal di patria” è una volontà di avanzare verso una patria nuova e tale patria non corrisponde certo al “caldo tedesco”. Ora occorre precisare che non stava pensando contro la Germania, bensì contro la Germania della sua epoca, quella della grande industrializzazione tedesca.
Al contrario, secondo Nietzsche, i tedeschi avrebbero dovuto meditare sul destino europeo, in seguito alla rivoluzione francese e al socialismo; Heidegger afferma che: al posto di un nuovo stadio del mondo tanto atteso, Nietzsche ha scorto solo la mediocrità circostante e quell’intelligenza semplicistica e computante, le quali risultano inadeguate a far individuare le grandi scelte storiche, oltre che incapaci di preparare a tali scelte l’umanità.
Con questo “buon senso”, in opinione di Heidegger, Nietzsche ha inteso l’intelligenza dell’uomo computante che misura l’utile e il successo, in questa risiede quella mediocrità che resta tale pur agendo su uno scenario politico-economico globale.
Ciò è il sintomo dell’ “oblio della destinazione storica dell’occidente”, il quale non può essere compensato dall’ “ostentazione di ricchezza, di moralismo e di umanitarismo”. L’intelligenza mediocre è incapace di meditare sul destino storico dell’occidente, tuttavia, spiega Heidegger, tale “buon senso” è già insito nell’essenza metafisica dell’età moderna, nella quale Nietzsche ha ravvisato, profetizzandola, l’incapacità del pensiero europeo di indirizzare l’essenza peculiare di ogni popolo alla sola altezza, verso cui essa possa crescere oltre se stessa e incarnare il suo destino storico, coincidente col suo essere.
Per Nietzsche “l’obliquo buon senso tedesco” non è in grado di dar vita a un riflessione interna che sia di ampio respiro, perciò non può prevedere il pericolo storico dovuto a sé stesso, dacché esso è antitetico al pensare autentico, il solo in grado di raccordare il legame alla tradizione storica.
Secondo il nichilista invece, l’occidente dovrebbe ritornare a meditare sulla sua destinazione storica, riflettendo sulle radici della sua meditazione/destinazione storica, ossia la grecità, i greci.

In “Noi filologi” Nietzsche ha scritto: “Ogni storia è stata finora scritta dal punto di vista del successo, e precisamente sull’assunto del successo della ragione.”
Una critica avversa all’ottimismo storiografico, che potrebbe essere stata indirizzata all’illuminismo come al positivismo, e che vedeva la presenza di un unico vero storico contemporaneo Jacob Burckhardt.
Heidegger afferma che Nietzsche, proprio come Burckhardt, ha visto un’Europa che si arrendeva alla mera intelligenza computante, sia nella concezione della storia che nell’agire storico.
Quindi Nietzsche ha osservato l’emersione della mediocrità generale e della fiacchezza del pensare, ossia della fiacchezza dell’essere dell’uomo.


In alcuni versi del 1884 Nietzsche ha scritto:


<< Ai discepoli di Darwin
Di questi inglesi provetti
i mediocri intelletti
prendete per “filosofia”?
Darwin pari a Goethe rendere

significa la maestà ledere –
Majestas genii! >>


In questo caso la critica si rivolgeva ai tedesci ottusti, i quali abbandonavano il loro intelletto primigenio, plasmato dal pensare autentico, per adottare l’intelletto inglese, basato sul buon senso dell’opinione media.
Heidegger chiarisce il discorso, chiosando che in “Al di là del bene e del male” Nietzsche ha sostenuto che gli Inglesi già in precedenza provocarono una depressione dello spirito europeo, avendo loro fatto affermare le idee del XVIII secolo, poi definite “moderne” o “francesi”.
Ancora, in un’altra nota del 1884, Nietzsche ha visto “maggiore inclinazione alla grandezza nei sentimenti dei nichilisti russi che in quelli degli utilitaristi inglesi”. Nondimeno Heidegger precisa che anche i tedeschi sarebbero vittime dell’intelligenza inglese, computante e corruttrice.
Ma a questo punto, piuttosto che analizzare questa posizione, Heidegger è interessato maggiormente ad analizzare il compatire di Nietzsche (“pietà di te!”), la sua sofferenza rivolta alla portata storica di tale corruzione, il suo patimento “per l’oscuro destino della sopraggiungente storia dell’Europa”.

L’uomo superiore nietzschiano è colui che patisce per l’uomo, il suo patimento non è qualcosa di inferiore, anzi implica che vi è qualcosa di superiore.
Dirigendosi verso l’altezza del pensiero, il pensatore soffre quando compatisce l’intelligenza “inglese”. Tale com-patire è direzionato in modo duplice: per Heidegger esso, giacché arriva per l’impossibilità della precedente patria e l’altezza di quella futura, è un “compatire va-e-vieni”, in cui l’assenza di patria non persiste su un mal di patria, bensì vuole procedere dall’intelligenza ottusa per arrivare all'”aria libera dello spirito”, allo spirito libero, fuggendo un ottimismo miope, che non riesce a vedere oltre un futuro prossimo e che non sarà valido che a breve scadenza, e abbracciando grandi decisioni lungimiranti, riguardanti l’essenza della storia.

[1]
In Heidegger, l’essenza dell’uomo è il suo essere “pensante-poetante”, spogliato di tale essere l’uomo perde la sua essenza.
[2]Per Heidegger, l’uomo è un “progetto gettato” nel mondo, vale a dire che ha un destino da destinarsi.
[3]Secondo Heidegger, nel pensiero nietzschiano “essere senza-patria” non significa mancare di patria, ma sentire di star
perdendo l’attuale patria poco a poco, mentre gradualmente si ha il presentimento di una nuova patria di cui si avverte l’urgenza
della sua ricerca.


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