Leopardi e la felicità: una breve introduzione della redazione
Sono lieto di avere l’onore di pubblicare su questo sito il pregevole lavoro di Giulio Rizzo, uno studente liceale che ha recentemente svolto un tema scolastico dedicato alla questione della felicità, a partire da un passo tratto dallo Zibaldone di Leopardi. Un tema sensazionale, che racchiude molti spunti di riflessione filosofici. Chi mi conosce sa quanto io mi stia dedicando agli studi severiniani, e come Leopardi rappresenti una figura fondamentale per quanto riguarda gli studi di Emanuele Severino. Ma ora non si parlerà di ciò! Dopo questa breve introduzione, un’ultima nota: Giulio mi ha contattato in direct su Instagram per chiedermi di pubblicare questo elaborato, ne approfitto quindi per ricordare che chiunque voglia potrà fare come lui in un futuro. (Nota: non è l’unico articolo non scritto da me, ad esempio nel sito trovate questo Sarò sempre lieto di pubblicare articoli del genere, per me è davvero un grande piacere, e ne approfitto per ringraziarlo! Ora bando alle ciance, ed in bocca ai Leopardi! Buona lettura!
Nota a posteriori! Nel caso vogliate leggere un altro meraviglioso articolo sulla felicità, vi lascio il link all’articolo di Mena Esposito!
L’ARTE DELLA FELICITA’
Leopardi, in questo estratto dello zibaldone riflette su un aspetto caratteristico della psicologia umana: la necessità di porsi uno scopo, di trovare un senso alla propria esistenza. Da sempre l’essere umano si è interrogato sul senso dei propri giorni, le persone si chiedono se ognuno di noi abbia un compito da portare a termine; in generale, è connaturata nelle nostre menti l’attitudine del finalismo, ossia di ricercare un fine ad ogni singola azione ed evento sulla Terra. Con il passare dei secoli, sono nate innumerevoli religioni e filosofie, ma quasi tutte sono state concordi nell’affermare che uno degli obiettivi primari di ogni uomo è il raggiungimento della felicità. Così si sono sviluppate diverse correnti di pensiero per riflettere su quale fosse il modo migliore per essere felici: c’è chi ha individuato nel “vivere secondo ragione” la radice di tale sentimento positivo, chi invece ha affermato la necessità di un calcolo razionale del piacere, come Epicuro.
Leopardi, in questa riflessione molto simile a quelle di Kierkegaard, sostiene che è necessario per ogni uomo porsi degli obiettivi, e che le pulsioni, l’immaginazione e le occupazioni che essi richiedono possono rappresentare il fondamento di una vita felice. Egli, invece, condanna l’uomo dissoluto, il quale vive alla ricerca cieca di piaceri di ogni genere, che sono però solo immediati, mentre la felicità richiede soddisfazione duratura. Lo stesso Kierkegaard, infatti, paragonava l’uomo dissoluto al Don Giovanni, un uomo che era solito divertirsi seducendo ogni giorno una vita diversa, ma che veniva inevitabilmente sopraffatto dall’angoscia, perché sprovvisto di princìpi che
lo conducessero attraverso il “viaggio della vita” e di obiettivi da seguire per mantenere deste le emozioni. Arthur Schopenhauer, invece, sosteneva che la natura umana fosse pervasa da un impulso, chiamato volontà, e che tale impulso fosse del tutto irrazionale e privo di un fine, e
quand’anche tale impulso portasse alla soddisfazione di un individuo, essa sarebbe in conflitto con la volontà degli altri uomini, in un’ottica darwinista molto simile alla “legge del più forte” presente in Verga.
Riflessioni sul mondo di oggi
Riflettendo sulla società contemporanea, mi sento di scrivere che la necessità di raggiungere un obiettivo sia estremizzata a tal punto che i giovani di oggi stanno costruendo quella che chiamo “la società della doverizzazione”. Attraverso gli strumenti di comunicazione moderni, si impone ai giovani uno standard di vita elevatissimo, e la cultura del “voto” nelle scuole fa in modo che ogni singolo sbaglio sia visto come un fallimento. Ho sentito recentemente la notizia di una ragazza che
si è suicidata perché, non essendo in grado di sostenere gli esami universitari, riteneva se stessa una fallita; durante il mio percorso scolastico ho assistito alle crisi di ragazze e ragazzi che non si sentivano pronti per un compito e avevano paura di deludere i propri genitori. Personalmente, credo che ciò che Leopardi abbia tentato di dire nello zibaldone sia che l’uomo deve, per essere felice, basare la propria esistenza su sani principi morali e porsi degli obiettivi per fare in modo che il cuore non si spenga e le emozioni continuino a far “vibrare” le nostre giornate. Tuttavia, sono consapevole di questa estremizzazione della ricerca dell’obiettivo di cui è vittima una parte della società: in tal modo, il sano impegno per sentirsi realizzati sembra scadere in una “vana inchiesta”ariostesca. D’altra parte, esiste una percentuale di giovani, i quali tendono a vivere di notte
piuttosto che di giorno, a condurre un’esistenza all’insegna della dissolutezza, trascorrendo la maggior parte delle serate da ubriachi o facendo uso di droghe. Umberto Galimberti definisce tale fenomeno “nichilismo moderno”, perché tali persone sono prive di qualsiasi valore, spesso non riescono a discernere ciò che è male da ciò che è bene in quanto il loro cervello è costantemente offuscato. Il filosofo ha individuato la causa di questa situazione nella mancanza di prospettive che
lo Stato offre a questi ragazzi: essi sanno che il giorno non offre loro lavoro e soddisfazione e per questo tentano di evadere in tal modo. L’argomento è molto delicato e i giovani di oggi lo vivono in maniera molto sofferente, ma io sono ugualmente fiducioso nella possibilità di rinascita della
mia generazione, perché so che esistono menti molto brillanti e attive per far sì che, soprattutto attraverso la cultura, possa formarsi una generazione felice, intelligente e in armonia.