Contrattualismo e democrazia: una presentazione per il gruppo!

Questo articolo sarà articolato in due parti fondamentali. Nella prima saranno  trattato il concetto di contrattualismo come contrapposizione alla visione aristotelica della politica e le linee generali del pensiero dei principali contrattualisti moderni e contemporanei.

Ti piacciono gli articoli di politica? Adorerai quest’altra riflessione sulla democrazia!

La seconda vedrà come argomento un’approfondimento del “Contratto sociale” di Rousseau. Verrà analizzata la sua idea di democrazia e verrà messa in dialettica con la contemporanea democrazia parlamentare, mettendo in risalto punti di forza ed aporie irrisolte di entrambe, facendo risaltare come la democrazia sia ancora oggi piena di problemi e contraddizioni lontani dall’essere risolti ( come d’altronde era piena di problemi e contraddizioni la concezione Rousseauiana). C’è l’intenzione di aprire il dibattito proprio su questa questione, quella dei problemi della democrazia che saranno affrontati.

Bibliografia: Per quanto riguarda i temi generali della  prima parte, è stato  consultata l’opera “Modelli di filosofia politica” di Stefano Petrucciani. La seconda parte ha visto la consultazione dell’opera “Il contratto sociale” Di Rousseau nella versione tradotta da Maria Garin con testo a fronte.

Sezione A: il contratto

Prefazione:Prima del contratto,accenno alla visione aristotelica della politica

Il contrattualismo rappresenta una svolta chiave nella storia del pensiero politico. E’ infatti con la pubblicazione del “Leviatano” da parte di Thomas Hobbes avvenuta nel 1651 che si comincia a parlare propriamente di pensiero politico moderno. Si tratta infatti di una netta cesura rispetto al pensiero politico precedentemente dominante che era principalmente di stampo aristotelico. Prima di analizzare le novità introdotte, è doveroso spiegare in pochissime battute le principali caratteristiche della concezione Peripatetica della politica, in modo da far notare meglio quanto notevoli siano state le novità che il contrattualismo ha introdotto, introducendo un paradigma inedito. 

Tratto fondamentale della concezione aristotelica è il fatto che la politica riguardi l’essenza dell’uomo. L’uomo è primariamente animale politico,”zoon politikon” e la dimensione politica è per l’uomo condizione originaria e ad esso inseparabile. Abbiamo quindi qui una concezione naturale della politica: esiste già in natura, la politica non viene vista come qualcosa di artificiale e pattizio. Secondo Aristotele infatti già la struttura familiare è per natura una struttura politica, ad esempio.

Altro tratto fondamentale, oltre alla naturalità della politica, è costituito dall’ineguaglianza degli uomini per natura: c’è chi è nato per comandare e chi è nato per essere comandato. Ad esempio, uno schiavo era adatto solo a fare lo schiavo per via della sua costituzione fisica adatta alla fatica ed alla sua supposta inidoneità al pensiero. Qualsiasi rapporto di subordinazione (donna-uomo, schiavo-padrone, governati-governante) era visto come naturale. 

Tali concezioni saranno ribaltate (tipo Mussolini a Piazzale Loreto)dall’avvento del contrattualismo, il cui primo interprete e sovvertitore della concezione aristotelica sarà il già citato Thomas Hobbes.

Parte 1: Cos’è il contrattualismo e quali sono le sue caratteristiche generali.

Socrate camminando per le vie di Atene ed interagendo con la gente (che per lo più reagiva a suon di morsi) aveva principalmente l’obiettivo di individuare il “che cos’è” delle cose, la loro definizione. Inizierò quindi con la posizione della definizione di contrattualismo, e verrà quindi messo in risalto come esso sia una cesura rispetto al passato e le sue caratteristiche di base. E’ innanzitutto un metodo, un modello che vuole rispondere ad una domanda specifica, ad un problema: quali caratteristiche debba avere uno stato legittimo, al quale tutti i cittadini siano tenuti a dare il loro assenso.

I contrattualisti danno la seguente risposta a tale problema: Lo stato legittimo è quello che sceglierebbero liberamente e volontariamente un gruppo di individui liberi ed uguali in stato pre politico,, costituito tramite il cosiddetto “contratto”. Lo stato legittimo è quindi quello tale da meritare il consenso libero e razionale da parte di individui liberi ed uguali  Il contrattualismo fa quindi una sorta di esperimento mentale, ponendo uno stato pre politico nel quale uomini in “stato di natura” si accordano in un determinato modo per arrivare alla costituzione di un determinato stato. Non è una risposta al “come sono andate le cose”, non è una ricostruzione storica, ma più un’interrogazione sulla legittimità dello stato. 

Sembra qui evidente il distacco con la tradizione precedente. La posizione di uno stato di natura precedente a quello politico è rivoluzionaria. Lo stato da naturale diventa una convenzione artificiale, positiva.

Altro elemento è l’uguaglianza originaria degli uomini. L’uomo nasce libero ed uguale, non esistono disuguaglianze dovute alla natura. 

Queste sono le caratteristiche comuni del  pensiero contrattualista. Le varie posizioni dei contrattualisti si differenzieranno poi per quanto riguarda due aspetti: le caratteristiche dell’essere umano nello stato di natura e la tipologia di patto firmato per passare allo stato di natura, con le relative clausole. 

Partiremo con Hobbes, che arriva a giustificare l’assolutismo monarchico; poi passeremo da Locke, padre del liberalismo, per poi fare un salto temporale fino al pensatore liberale neo contrattualista del ‘900 Rawls (Rousseau, padre della democrazia diretta  e frequentatore dei bordelli di Venezia sarà trattato nella sezione B)

Parte 2:arriva il Leviatano

Come già detto, il Leviatano di Hobbes segna una radicale cesura rispetto al pensiero precedente, ed è l’opera che inaugura il contrattualismo moderno.

Adesso in breve saranno elencate le caratteristiche dell’uomo allo stato naturale in Thomas Hobbes, e sarà reso noto il motivo della necessità della nascita dello stato politico.

Secondo il pensatore inglese, l’uomo allo stato di natura nasce libero ed uguale, con uguali capacità rispetto agli altri, senza alcuna superiorità o inferiorità rispetto ai suoi simili. Lo stato di natura è per Hobbes animato da un brutale ed imperituro  conflitto di tutti contro tutti, dove “ogni uomo è lupo dell’altro uomo”.

Questo fatto ha due principali ragioni: la diffidenza e la gloria. L’uomo allo stato naturale infatti attacca il prossimo sia perché nulla garantisce all’individuo che non sarà attaccato dal prossimo:per questo attacca per primo. E’ poi animato da un istinto, quello della gloria, che lo porta a voler a tutti i costi dimostrare la sua superiorità sugli altri, scatenando conflitti. C’è però di più: dato che gli uomini allo stato di natura sono liberi ed uguali e nessuno stato regola le contese, ogni uomo sente di avere una pretesa legittima sul tutto, e questo ovviamente genera aspri conflitti. Finché non vi è una legge che regoli tale situazioni, ognuno ha quindi diritto a tutto, e ciò è problematico a dir poco. 

L’uomo in questo stato in realtà sente già una regola naturale grazie alla ragione, che se rispettata garantirebbe una convivenza pacifica, ossia il “non fare ciò che è lesivo verso la propria sopravvivenza.” Ora, andare in guerra con altri individui andrebbe contro a tale regola, ma non essendoci come visto una qualche istituzione che garantisca che anche il prossimo la rispetti, l’individuo si sente ad attaccare per primo, per sicurezza. 

Secondo Hobbes, l’unico modo per risolvere questa situazione è quindi l’istituzione di un patto tra tutti gli uomini allo stato di natura che faccia a loro rinunciare tutti i diritti che hanno in tale stato ad un organismo terzo, il sovrano. Questa entità dovrà regolare la giustizia, assicurando che ogni torto sia punito. La legge positiva del sovrano sostituisce ora quella naturale.

IL potere del sovrano è assoluto, con il suo procedimento Hobbes delinea come legittimo lo stato monarchico assoluto. Il sovrano è al di sopra della legge in Hobbes, non è limitato da nulla. In Hobbes si parla (al contrario di quella positiva di Rousseau) di “libertà negativa”. La libertà in questo caso è la facoltà di mantenere un arbitrio limitato ai campi non regolati dal potere monarchico. 

Il potere del sovrano è giustificato da Hobbes dicendo che questa situazione di subordinazione è in ogni caso nettamente preferibile allo stato di natura.

Il patto è vincolante ed irreversibile, non è possibile tornare indietro

Parte 3: Locke at me

Rimaniamo ora in Inghilterra, ma spostandoci di un paio di generazioni nel futuro. John Locke, pur mantenendo il modello contrattualista di Hobbes, arriva alla creazione di un modello quasi diametralmente opposto, ossia quello liberale. Si può dire che con lui si sia la vera  e propria nascita del liberalesimo, con la sua attenzione per il concetto di proprietà privata  e l’attenta riflessione sui limiti del potere statale. 

Come per Hobbes, l’uomo in stato di natura è libero ed uguale. Ci sono però delle differenze. Le già citate “leggi naturali” derivanti dalla ragione sono per Locke già vincolanti anche nello stato di natura. Pur non essendoci istituzioni atte a punire i trasgressori, ogni privato ha in fondo la facoltà di punire la trasgressione, disincentivandola. Ognuno nello stato di natura ha la facoltà di punire i trasgressori delle leggi di ragione. Problematico invece il concreto funzionamento di queste punizioni, sarà proprio l’amministrazione della giustizia uno dei motivi che porteranno al contratto. 

Altra differenza la troviamo nella concezione di stato di natura. Per Hobbes stato di natura e stato di guerra coincidono, mentre per Locke il secondo non coincide con il primo, ma è una sua degenerazione. Secondo lui lo stato di natura è alla fine uno stato di pace, ma il problema è che tale stato corre sempre il rischio di degenerare, non essendoci istituzioni positive stabili atte a risolvere la situazione. 

Gli uomini quindi devono abbandonare, tramite un patto sociale, lo stato di natura per trovare un giudice comune che regoli le loro controversie, per impedire la degenerazione in uno stato di guerra. Esso mantiene le leggi di natura, ed assicura la possibilità di risolvere le controversie in modo imparziale. 

Ci sarebbe tutto un discorso da fare sul concetto di proprietà privata in Locke, ma sarebbe troppo complesso e ci porterebbe fuori tema. In caso vogliate approfondire il tema, lo si potrà fare in altra sede

Ci basti sapere che per lui si parla di proprietà privata già nello stato di natura ed è, insieme a vita e libertà, uno dei tre diritti inalienabile, che la creazione dello stato deve proteggere e garantire. Ecco qui la limitazione dello stato, assente in Hobbes. Uno stato legittimo deve quindi avere determinate caratteristiche, dei limiti, altrimenti non ci sarà una vera e propria fuoriuscita dallo stato di natura.

Lo stato deve difendere i diritti inalienabili e non li può violare, si deve limitare a garantire tali diritti naturali tramite leggi positive. Deve inoltre rispettare il principio di legalità, tramite leggi generali e non ad personam. Deve rispettare il diritto di proprietà ad ogni costo, e le tasse devono essere approvate dalla maggioranza dei cittadini. Inoltre non può trasferire ad altri il potere legislativo o consegnarsi ad un dittatore

Parte 4: “A theory of justice”, Rawls ed il principio di differenza

Facciamo ora un grande balzo nel tempo e nello spazio e fiondiamoci negli Usa del 1971, anno della pubblicazione di “A theory of justice”. L’autore yankee intende cercare quali sono i principi normativi che devono stare alla base di uno stato giusto, che miri al benessere collettivo. Egli procede tramite il paradigma del contratto, dicendo che i principi cercati sono quelli che sarebbero oggetto di un accordo originario da parte di individui liberi ed uguali che si trovassero ad istituire le norme della loro cooperazione sociale. 

La condizione che rende tale contratto giusto e legittimo è quella definita come “velo di ignoranza”: gli individui dovranno ignorare e non sapere il ruolo che svolgeranno nella società, in modo da assegnare ad ogni ruolo una propria dignità, rendendo imparziali le parti contraenti. 

Abbiamo visto che la condizione che rende giusto il contratto è l’imparzialità delle parti contraenti. 

Due sono i principi normativi fondamentali che devono guidare uno stato giusto.

Il primo dice che ad ogni individuo vanno riconosciuti i diritti democratici e liberali. Il secondo è il principio di “giusta  ineguaglianza”. Secondo Rawls, è giusto che certi individui, specie quelli più produttivi, abbiano una maggiore ricchezza se in tal modo chi ha meno ha di più di quanto avrebbe in una situazione di uguaglianza. Qui farò degli esempi, ma non mi soffermerò troppo sulla questione, è un grande tema e ci porterebbe fuori strada.

Sezione B: “Il contratto sociale” e la questione della democrazia

Torniamo indietro nel tempo nuovamente, e passiamo a considerare i temi relativi al contratto sociale di Rousseau ed alla democrazia.

Parte 1: Pensiero politico di Rousseau in generale, lo stato di natura

Andiamo ora a collocare il pensiero di Rousseau all’interno dell’orizzonte contrattualista. Esso si distanzia sia da Hobbes che da Locke. A differenza dei due inglesi, che con i loro ragionamenti arrivavano ad assicurare riguardo la legittimità di sistemi politici attualmente esistenti, Rousseau intende proporre qualcosa di nuovo, teorizzare qualcosa all’epoca inesistente. La sua indagine ha come punto di partenza una considerazione, che inserisce nel primo capitolo del primo libro. “L’uomo…mutamento” pag. 5. Egli intende prima di tutto scoprire perché l’uomo, nonostante sia nato libero, si trovi storicamente in condizione di schiavitù. 

Prima di tornare a questo argomento, delineo un paio di aspetti generali. 

Per quanto riguarda lo stato di natura, è molto critico nei confronti di Locke e Hobbes, rei di aver trasferito nello stato di natura elementi in realtà successivi. Per questo pensa a due stati di natura, il primo ed il secondo. Il primo vede l’uomo, che per Rousseau nasce buono, in condizione di pace, riposo ed estrema solitudine, con occasionali e rari incontri con altre persone. Poi le condizioni mutano per necessità, ed è quando si formano le prime società che l’uomo comincia a degenerare, facendo prevalere l’amor propre, che spinge ad emergere. Si tratterà di formare una società giusta, come vedremo. Ora andiamo più nel dettaglio.

Parte 2: lo stato ingiusto, la questione della schiavitù

Nel quarto capitolo del primo libro, Rousseau intende dimostrare l’iniquità dell’attuale condizione statale, dello stato assoluto che rende il popolo sottomesso al sovrano. Qui leggerò il testo, pare abbastanza chiaro, e la voce di Rousseau ha molta più forza della mia, rischierei di sminuire. Leggerò e commenterò il  testo, inutile qui fare un copione. Arriverà a dire che un patto che veda la sottomissione di un popolo ad un governo assoluto è iniqua e priva di valore perché non ragionevole.

Parte 3: del doppio patto 

Nel quinto capitolo, rincara la dose. Prima aveva messo in questione la legittimità dell’atto con il quale un popolo sceglie di sottomettersi ad un sovrano. Qui va più a fondo. Anche considerando come invalide tutte le considerazioni fatte in precedenza, resterebbero dei problemi gravi. Ammesso che possa firmare un patto di sottomissione, un popolo deve prima essere un popolo, ed è necessario che firmi un altro patto, quello di unione, che fa diventare popolo quello che prima era un aggregato di uomini sparsi. Ma, si domanda Rousseau, una volta che il popolo si costituisce come tale, perché mai dovrebbe decidere di darsi ad un sovrano? Decide quindi di andare ad analizzare con attenzione il patto sociale, il patto che rende il popolo popolo, per andare a dimostrare che non vi sia alcuna necessità di sottomettersi ad una forza esterna. Anche qui leggerò dei punti importanti.

Parte 4: il patto sociale

Il patto Rousseauiano differisce sia da quello Lockiano che da quello Hobbesiano. A differenza del primo, che non imponeva la rinuncia a tutti i diritti personali ma poneva la conservazione ad esempio del diritto di proprietà, il patto prevedeva la cessione di tutti i propri diritti, quindi sembra simile ad Hobbes. Si differenzia però pure da Hobbes: nel caso di Hobbes infatti la cessione totale era diretta verso un organo terzo, il sovrano, che non sottostava al contratto. In questo caso invece la cessione era immanente ai contraenti.

Ebbene, ognuno cedeva i propri diritti personali alla collettività; l’individuo però fa parte di quella collettività, è come se di fatto non avesse perso niente, ha perso il diritto su sé stesso ma ha acquisito quello sulla comunità. Per dirlo con le parole di Rousseau,capitolo 6.  “Ciascuno di noi mette in comune la sua persona e tutto il suo potere al servizio della volontà generale: e noi, come corpo, riceviamo ciascun membro come parte indivisibile del tutto”.

vediamo che qui viene introdotto il concetto chiave di “volontà generale”, che nel pratico consisterà nel concetto forse più problematico di Rousseau. In questo stato, l’individuo è libero come prima, obbedendo alla comunità non obbedisce che a sé stesso, in quanto la sovranità, ovvero la capacità di approvare le leggi che riguardano tutti, appartiene a tutti. Ciò in chiave pratica sarà un problema, lo vedremo

Parte 5: Sovranità e volontà generale in democrazia

Qui saranno analizzati elementi dei primi tre capitoli del secondo libro, che riguardano questi grandi temi. Secondo Rousseau, la sovranità non è che l’esercizio della volontà generale,quindi è inalienabile e indivisibile. Ciò significa che una delle basi della democrazia moderna, il parlamentarismo, viene qui abortita. E’ per Rousseau inammissibile delegare ad una determinata assemblea la sovranità, la capacità di approvare le leggi che riguardano tutti.

Il potere sì era delegabile e divisibile. Non tutti infatti avevano il potere di mettere in pratica quanto stabilito dalla volontà generale, c’era altrimenti il rischio di azioni parziali. Il potere legislativo invece era inalienabile e indivisibile, non vi era alcuna deroga. Il legislatore, colui che scriveva le leggi, poteva anche essere una singola entità particolarmente colta alla quale delegare la scrittura, ma ciò non poteva essere fatto con la facoltà di approvare o meno una legge. Finché si rimane sul piano puramente teorico, pare non ci sia nessun problema.

Il legislatore scrive, sottopone la legge al popolo che seguendo la volontà generale andrà a prendere una decisione in merito ad essa, ed il governo avrà il compito di applicare la legge nei suoi casi specifici. Il problema si ha quando si vuole andare a fondo al concetto di volontà generale.

La questione viene affrontata nel capitolo 3 del secondo libro, “se la volontà generale possa sbagliare.” Questo testo sarà letto totalmente, sarebbe quindi sprecato scrivere qualcosa qui. Dirò tutto a voce basandomi sul testo. Basti sapere che c’è una dialettica tra la volontà generale e la volontà di tutti, che sono concetti in realtà opposti.

Sezione C: democrazia, confronto e riflessioni

Abbiamo visto più o meno( questo più o meno dipende da quella che è stata la mia bravura espositiva) quelle che sono le caratteristiche della democrazia diretta di Rousseau. Viene ora naturale mettere tale concezione di democrazia diretta con, ad esempio, la democrazia parlamentare italiana. Sono diverse? Sì. hanno difetti e punti di forza entrambe? Sì. Una è migliore dell’altra? opinabile, quello che è certo è che entrambe hanno grandi debolezze, e che nessuna delle due è perfetta, hanno anzi entrambe numerosi problemi. Si aprirà ora una grande dialettica tra le due alla quale darò il via, che porterà a degli interrogativi rivolti a voi:quale di questi modelli preferite, se ne preferite uno?

La democrazia diretta sarebbe migliore di quella attuale? se No, quella attuale va bene così o No? Quali altre possibili soluzioni adottereste? La democrazia è per voi il migliore tra i sistemi ora possibili, nonostante tutti i suoi difetti? Via con domande del genere quindi, altre probabilmente mi verranno in mente al momento.

Per quanto riguarda la dialettica, provo a mettere in luce alcune questioni. Rousseau, criticando il sistema inglese, disse “gli inglesi sono liberi ogni 5 anni, ossia quando votano” Tutto questo per far capire che oggi sono limitate le situazioni nelle quali siamo cittadini attivi, esercitando un voto. Di fatto il peso del singolo cittadino sulle decisioni politiche è nullo, noi eleggiamo dei rappresentanti che dovranno compiere decisioni rappresentandoci. In questo modo, come direbbe Schumpeter, la democrazia è ridotta di fatto alla scelta di un prodotto anziché un altro, senza alcuna attività diretta. Di fatto non è il popolo che governa, ma più un’oligarchia. Nonostante il popolo voti, il potere nel pratico è in mano a poca gente, come sostenuto da Max Weber. Non si tratta di un vero e proprio governo attivo del popolo. 

D’altro canto, sarebbe possibile il contrario? Sarebbe possibile rendere 60 milioni di italiani cittadini attivi in maniera efficiente? Verrebbe da dire no. Lo stesso Rousseau disse che il suo modello era applicabile solo a piccole comunità molto omogenee, altrimenti trovare la volontà generale sarebbe stato più arduo del normale, se non impossibile. 

Quindi da un lato abbiamo un sistema dove il popolo alla fine ha diritti di cittadinanza attiva ogni tot anni e deve essere rappresentato (sempre che trovi qualcuno in cui si senta rappresentato, non sempre avviene) da altre persone, dall’altro abbiamo un sistema che, seppur dando ad ogni cittadino un peso, renderebbe la situazione ingestibile, soprattutto in stati popolosi ed eterogenei. Contrattualismo

La soluzione quale sarebbe, la demolizione degli stati sostituiti da micro stati autogestiti? Sarebbe fattibile qualcosa del genere, e sarebbe una vera soluzione? Non lo so, non troverò una risposta ma intanto mi pongo questa domanda. Forse avrei anche voluto dire altro, ma adesso a voi la parola:fatemi sapere la vostra opinione sulla democrazia nello spazio commenti! Contrattualismo