Introduzione: il grande ritorno!
Per molto tempo mi sono messo in seconda fila, lasciando spazio ai miei nuovi collaboratori ed alle mie nuove collaboratrici. Avevo quindi perso la grande gioia data dallo scrivere nuovi articoli in prima persona. Ebbene, l’attesa è finita: sono onorato di presentarvi questo articolo, dedicato ad un tema che mi sta particolarmente a cuore: sto parlando della grande pericolosità insita dietro alla parola “ovvio”!
La tesi che voglio portare avanti in questo articolo è la seguente: il più grande ostacolo che ci possa essere nei confronti dello sviluppo della conoscenza e del progresso filosofico e scientifico è costituito dal reputare un qualcosa come ovvio!
“Massì, questo è ovvio!”. Quante volte avete sentito questa espressione? Quante volte la avete espressa in prima persona? Ebbene, forse dopo aver letto questo articolo vi farà più strano sentire o ripetere tale espressione! Mi auguro di recare in voi lettori e in voi lettrici delle buone riflessioni e causare discussioni costruttive. Quelle sì che sono la linfa vitale del progresso: discutere, problematizzare, criticare. Questo sì che contribuisce al progresso, alla conoscenza!
Rappresentare la tesi dell’articolo sotto forma di slogan? Meno ovvietà e dogmi, più problematizzazioni!
Vi auguro dunque una buona lettura!
Capitolo 1: Perché ricercare e studiare qualcosa?
Cominciamo la nostra avventura facendoci delle domande preliminari: cosa siamo spinti a studiare e ricercare? Cosa ci spinge ad effettuare ricerche e studi nei confronti di qualcosa? Cosa ci spinge a rivolgere la nostra attenzione nei confronti di qualcosa?
Ebbene, penso di poter rispondere a queste domande!
Penso di aver individuato nell’umanità uno schema ricorrente, in atto fin dalle antichità più remote, fin da tempi addirittura precedenti all’invenzione della scrittura. Quindi, fin da prima della storia propriamente detta!
Gli storici usano infatti scandire il tempo in periodi, per potersi orientare meglio nei loro studi. Ora, l’invenzione della scrittura viene considerata come l’inizio della storia. Dunque, tutti gli avvenimenti umani precedenti a questo evento avvenuto in Mesopotamia più o meno 6000 anni or sono sono definiti come “preistorici”, e si definisce quindi tale periodo “preistoria”.
Ebbene, fin dalla preistoria gli esseri umani hanno avuto una particolare attrazione, una particolare meraviglia, un particolare stupore verso tutto ciò che reputavano “misterioso”.
Come è nata la vita? Come è nato il mondo? Come è nato l’universo? Cosa succede quando si muore? Esiste una vita dopo la morte?
Tutte queste domande sono come una spada di Damocle: sono lì, pronte a piombare sopra di noi! Chiunque nella sua vita si è sicuramente posto almeno una di queste domande, anche in tenera età! Dagli abitanti dei primi villaggi neolitici ai contemporanei abitanti di un grattacielo di una metropoli, dall’antico Egitto alla Germania, dal Canada alla Nuova Zelanda: questi interrogativi non conoscono tempo e non conoscono spazio. Certi interrogativi rimangono del tutto invariati!
Mille risposte, una sola domanda
Quello che cambia è semmai la risposta data, sia dal punto di vista metodologico che dal punto di vista contenutistico. Ma le domande no, le domande sono sempre quelle. Ci osservano imperscrutabili come le stelle del firmamento, pronte a piombare su di noi ad un certo punto della nostra esistenza, smaniose di ricevere una risposta. Il metodo e la risposta potranno cambiare a seconda del tempo ed a seconda dello spazio. Ma domande del genere rimangono lì, non mollano la presa!
Cosa hanno in comune le prime mitologie, i primi miti e le prime leggende, le religioni di ogni tipo, forma, tempo e luogo, la filosofia e la scienza?
Ebbene, hanno in comune il fatto di aver tentato, ognuna con il metodo e lo stile ad esse competente, di affrontare tali interrogativi e cercare di fornire risposte atte a far sparire la situazione di dubbio, incertezza e mistero che esse incutevano nell’umanità!
A prima vista abbiano quindi differenze sostanziale tra queste discipline differenti, tra questi differenti paradigmi gnoseologici e speculativi. Tutti i modelli siffatti hanno però in comune l’intenzione di voler rispondere appunto a tali interrogativi, per trasformare il mistero in certezza! Su questo fatto torneremo tra poco!
Quindi, interpretiamo ora queste molteplici e differenti risposte come molteplici rami di un unico albero! Dei rami molto diversi tra di loro, ma pur sempre facenti parte dello stesso albero!
Così dunque le prime cosmogonie, la creazione nel pensiero giudaico cristiano, le ricerche dell’arché dei primi filosofi e la teoria del Big Bang della scienza contemporanea. Tutte modalità risolutive differenti di un unico interrogativo!
La risposta alla domanda di inizio capitolo
Me la sento quindi di rispondere all’interrogativo con il quale abbiamo aperto il primo capitolo: il famoso elemento che ci spinge verso la volontà di conoscere è il mistero, ciò che interpretiamo come assolutamente incerto e misterioso, e ci spinge a dare risposte!
Questa considerazione ci permetterà di fare alcune considerazioni ulteriori! Innanzitutto verrà approfondito il concetto di mistero, e di come esso abbia una grande presa nei confronti del nostro interesse, tanto da portare alla nascita del pensiero mitologico, religioso, filosofico e scientifico. La trattazione sarà completata da una considerazione su alcune frasi del primo capitolo del primo libro della Metafisica di Aristotele.
Una volta esaurito e trattato a sufficienza questo tema del mistero, i nodi cominceranno a venire al pettine e si arriverà pienamente all’obiettivo critico di questo articolo: la problematicità che reca in sé il concetto di ovvio, di ovvietà. Magari fino ad ora il ruolo e la funzione di questo primo capitolo potranno non essere chiare al lettore ed alla lettrice.
Ebbene, è mia intenzione attuale allora svelare questo mistero ulteriore facendovi una domanda atta a farvi capire la funzione di questo discorso sul concetto di mistero! La risposta e la trattazione di tale tema arriveranno solo nel capitolo 3, quindi dovrete portare pazienza: il capitolo 2 sarà come detto dedicato all’approfondimento del concetto di mistero!
Nonostante la trattazione di tale tema misterico non sia finito, vi sarà chiaro già ora quanto io definisca il mistero come la benzina della volontà di ricerca, il più grande catalizzatore all’atto gnoseologico: il perché di ciò vi sarà meglio spiegato ed approfondito nel corso del secondo capitolo, ma anche se il perché ha ancora qualche oscurità, il che dovrebbe invece esservi ora noto!
Ma se il mistero è il migliore amico del progresso e della conoscenza, esiste allora anche il loro peggior nemico ? Se il mistero è la benzina, esiste qualcosa che tende a bucare le gomme della macchina gnoseologica? Ebbene, penso lo abbiate capito: questo sassolino nella scarpa della conoscenza è per me costituito dall’ovvio, che presenta una duplice faccia a mio avviso!
Ma tale argomento sarà appunto trattato nel capitolo 3, dovrete avere ancora un po’ di pazienza!
Capitolo 2: il grande fascino del mistero!
Lo scopo di questo capitolo sarà quindi quello di approfondire la tematica dell’attrattività che il concetto di mistero reca intrinsecamente in sé stesso. Questa operazione verrà eseguita fondamentalmente tramite alcune considerazioni relative al primo capitolo del libro Alfa della Metafisica di Aristotele. Si informano i lettori e le lettrici che qui tale tema sarà trattato in maniera abbastanza sintetica: per un trattamento più approfondito e diretto riguardo queste pagine si consiglia di leggere il mio capitolo pilota dedicato alla storia della filosofia!
L’analisi di questo capitolo permetterà di cogliere una volta per tutte in che modo ciò che reca in sé mistero e meraviglia invogli allo studio ed alla comprensione.
Mistero, meraviglia: ecco da dove nasce la filosofia!
Nel primo libro della Metafisica,tra le altre cose, lo Stagirita si interroga circa le origini della filosofia. Uno studio non tanto di tipo storico, atto a rispondere alla domanda “chi è stato il primo filosofo e dove è nato ecc”, ma atto a domandarsi che cosa abbia fatto nascere nell’essere umano l’esigenza alla filosofia ed all’atto del filosofare. Ebbene, da come si evince in tali pagine aristoteliche, Aristotele ha in mente una risposta ben chiara: la risposta è la meraviglia!
La meraviglia (thaumazein) è la sensazione che proviamo davanti a qualcosa che ci appare, e qui arriva il punto della questione, misterioso ed ignoto!
Proviamo meraviglia ogni volta che qualcosa ci appare strano, misterioso, ignoto, angosciante: questa meraviglia reca quindi in noi un sentimento di angoscia, paura, smarrimento!
Quando proviamo questo tipo di meraviglia davanti all’ignoto ci sentiamo come vittima di qualche strano incantesimo: nonostante si sia a casa, ci sentiamo spaesati, alienati, fuori di casa, ospiti a casa nostra. In stallo, in pericolo costante.
Questi sentimenti per Aristotele danno origine alla filosofia: siamo spaesati e spaventati davanti all’ignoto. Vogliamo calmarci, vogliamo far sparire questa meraviglia tanto forte e spiazzante! Come facciamo, dunque, a compiere tale atto che ci sembra così importante?
Tramite la ricerca, tramite il pensiero, tramite lo studio di ciò che inizialmente ci spaventa in quanto ignoto! Al termine di questo processo, i nostri sentimenti cambiano del tutto: diventiamo a nostro agio, calmi, senza turbamenti! Tutto questo perché grazie alle ricerche, alle teorie ed agli studi l’ignoto è finalmente divenuto noto, recandoci grandissimo conforto!
La meraviglia, il mistero, sono ciò che ha spinto al progresso, alla ricerca: ora abbiamo capito meglio in che senso. Ovvero, il mistero ci spinge all’indagine perché ci reca il desiderio di trasformare esso in calma, in assenza di mistero. Il mistero ci spinge a trasformare quello stesso mistero in un che di noto, questa è la modalità a mio avviso.
Dove sta il problema?
Nella sequenza sopra descritta sembra essere andato tutto liscio: eravamo in grande ansia perché eravamo in preda al mistero, ma abbiamo del tutto superato tale ansia tramite ricerche che ci hanno permesso di far decadere tale situazione di ansia trasformandola in una piacevole calma. Dove sta quindi il problema? Sei un folle!
Vuoi forse far tornare la situazione ad una costante sofferenza data dall’ignoto, dal mistero? Perché non ci lasci vivere in pace, in un mondo fatto di certezze, di sicurezze, di ovvietà?
Messa così la mia sembrerebbe una vera follia fallace, una vera mania folle e sregolata. Me la sento comunque di dire la mia!
Il prossimo capitolo sarà dedicato alla grande pericolosità che reca in sé la situazione alla quale siamo approdati cacciando dalla nostra vista e dalla nostra vita la meraviglia: la situazione calma nella quale tutto è certo ed il mistero è svanito!
Non nego che essere preda all’ansia dell’ignoto sia un che di sicuro e privo di pericoli: non si può vivere nel terrore, vivere nel terrore è una non vita! Ma anche una vita priva di dubbi è una situazione pericolosa secondo me: non riusciamo a trovare una via di mezzo?
Del pericolo del primo tipo di vita parlano tutti, dei misteri abbiamo tutti paura: scienza, religione e filosofia sono nate principalmente per farli sparire e trasformare l’ignoto in noto!
Voglio mettervi quindi in guardia, nel prossimo capitolo, dai pericoli opposti: quelli dell’eccesso di sicurezze e di certezze, di considerare come assoluti i risultati delle ricerche: in poche parole, parlo di ciò che definiamo “ovvio” o “dogmatico”!
Con ciò voglio anche affermare, senza esagerare, l’importanza capitale del dubbio!
Capitolo 3 L’ovvio: anche le certezze hanno spine!
La ricerca, lo studio che ci porta a portare un che da ignoto a noto non è di per sé un crimine, un problema, un pericolo. E’ anzi molto spesso un’operazione assolutamente legittima, che reca in sé del progresso: ci permette, quando eseguita con rigore ed attenzione, di acquisire nuove informazioni, nozioni e concetti oltre che farci sentire meno in ansia.
Considerare il processo in quanto processo
In sé e per sé, del processo descritto nel capitolo 2 non si deve dire male, non si deve dire che sia un grave pericolo: anzi, se ben interpretato e considerato, questo processo ci guida verso il sapere, il vero, il progresso!
Fino a quando vediamo il processo come processo, il problema non si pone. Fino a quando consideriamo i nostri risultati come risultato di un processo conoscitivo, nessun guaio si presenta alla porta. In questa situazione nulla ostacola il progresso, a dire il vero.
E’ questa la postilla fondamentale però: non abbiamo pericoli fino a quando consideriamo il processo come appunto un PROCESSO! Il risultato è la conclusione di un processo, non un presupposto immediato. C’è stato un lavoro dietro, uno studio, un ragionamento, degli esperimenti talvolta: non si tratta di una nozione caduta dal cielo, vera perché sì o letta acriticamente da qualche parte.
Non è un’immediatezza quindi, ma il risultato di una mediazione, di un processo, di una ricerca: finché ci ricordiamo di ciò, non incorriamo nei pericoli dell’ovvio e del dogmatico.
Guai a fare il contrario: ecco da dove nascono tutti i pericoli dai quali ho messo prima lettori e lettrici in guardia nel corso dell’ultimo paragrafo del capitolo precedente!
La falsificazione: vedere il mediato come immediato!
I pericoli sono molti quando ci dimentichiamo che i risultati ottenuti a partire dalla situazione di meraviglia ed alle correlate ricerche sono scopo di un processo e non un che di ovvio, immediato o dogmatico!
E’ qualcosa di quotidiano: viviamo spesso di frasi fatte, di sicurezze date per scontate, senza chiedersi mai il perché, senza mai interrogarsi!
Ci dimentichiamo del processo, del tutto: ci sembra tutto ovvio, non ci chiediamo da dove derivi la nostra certezza! Consideriamo ciò che è stato risultato di studi, di processi, come dati banali, ovvi, assodati. Come frasi da imparare a memoria, senza davvero comprenderle, senza davvero comprendere.
Penso che questa descrizione si adatti alla vita quotidiana di chiunque: quante volte diamo per vero qualcosa senza nemmeno pensare il perché, dando il tutto per ovvio?
Ebbene, questo è il peggiore ostacolo per lo studio, per il processo conoscitivo: se tutto ci pare ovvio che senso ha continuare a ricercare? Tanto è ovvio, non viene nemmeno in mente di cominciarle tali ricerche!
Questo perché considerare qualcosa come ovvio ed immediato e non come risultato di un processo ci porta di fatto ad un’assolutizzazione del risultato: dimenticandoci che è stato frutto di un processo, non ci poniamo nemmeno il dubbio che possa essere un che di non definitivo e di provvisorio, una stazione di servizio verso ulteriori nozioni e concetti!
Provvisorietà, problematicità
Guai dunque a considerare le verità come immediate e definitive: sono sempre frutto di un processo! Tenendo a mente questo, teniamo a mente il fatto che esse possono cambiare, possiamo migliorare le nostre teorie: questo è possibile solo se abbiamo saldo nelle nostre menti che non sono piovute dal cielo così oppure definite in maniera definitiva da qualcuno, ma piuttosto un qualcosa di risultante da una ricerca che può anche non essere stata eseguita al meglio!
Se sappiamo che dietro ogni sapere c’è un processo, sappiamo che c’è sempre la possibilità che ripetendo il processo in maniera diversa o più complessa, le verità prima trovate possono mutare, anche di molto!
Il sapere non deve essere considerato come un edificio monolitico e fisso: cambia, si adatta, a seconde delle nuove ricerche e dei nuovi mezzi a disposizione!
Ad esempio: se migliorano i nostri mezzi a disposizione in un determinato campo è assolutamente possibile, ampliando e ri-ploblematizzando quella che consideravamo una verità, notare che magari possiamo aggiungere o correggere tale “verità” che davamo per assodate!
Guai ad assolutizzare le verità! Ci negherebbe la possibilità di continuare a scoprire, ad imparare!
L’importanza del dubbio
Una vita di soli dubbi ci fa paura. Ma è snervante a mio parere anche una vita fatta di sole certezze! Questa seconda vita può essere deleteria, ci allontana dalla possibilità di progredire! I mezzi a nostra disposizione sono in continuo aumento, inoltre l’avvento sulla Terra di ognuno di noi porta pensieri inediti, mai visti prima, nuove prospettive! Guai dunque a considerare tutti i risultati come definitivi, guai a rinchiudere del tutto in prigione il dubbio e la meraviglia per vivere nell’ovvio e nel dogma!
Ci serve tutto, ci servono dubbi e ci servono certezze! Si bilanciano a vicenda: i dubbi impediscono alle certezze di essere dogmatiche e di impedire la scoperta di nuove verità e la correzione di quelle esistenti, le certezze ( quando sono considerate nel modo appropriato) impediscono ai dubbi di renderci la vita troppo angosciosa!
La vita deve a mio parere essere un miscuglio tra dubbi e certezze, non si può rinchiudere all’ergastolo uno dei due elementi senza incorrere in seri danni!
Questo vuole essere il succo di questo articolo!
Dubitate, fatevi domande, chiedetevi il perché di tutto, anche delle cose più banali! Non fatevi andar bene un qualcosa perché è scritto qui, perché lo ho sentito di là, perché lo ha detto Gianfranco! Spingete per sapere il perché delle certezze, i processi che hanno portato ad esse! Solo allora potrete in un caso accettarle in maniera cosciente, oppure nell’altro avere magari la spinta per dimostrare che tale fatto non è del tutto esatto!
Solo così si esce dalla gogna del dogma e dell’ovvio: ricordandosi che la verità è processo, nulla è immediato! Non accontentatevi dei risultati, concentratevi sui processi: è lì che sta la vera verità del risultato!
Ora è tutto, un saluto dal Direttore! Al prossimo articolo!
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Il vero, prima di entrare nelle nostre vite, resta fuori. Il vero volge solo dentro risposte, nel fermarsi della ricerca, nel sospendere tutto, dire – si, è vero-.
Cos’è dire il vero in chiuse produzioni di sicurezze?
È verità un ricercare interrotto?