Parmenide: essere o non essere? La svolta!

Storia della filosofia, Capitolo 3. Parmenide, l’uomo della svolta!

Parmenide pensiero

Dopo aver visitato la Calabria nello scorso articolo, ci spostiamo ora più a nord e ci dirigiamo verso la Campania, più precisamente a Elea. (Nel caso vogliate saperne di più invece su un altro sbarco avvenuto in queste zone, vi lascio il link!) Questa città è stata più di due millenni fa la casa di Parmenide. Preparatevi perché sarà un capitolo molto impegnativo, si tratta infatti questo di un pensiero assai fondamentale per la storia del pensiero!

Una breve biografia!

Parmenide nacque ad Elea, nell’attuale Campania. La data di nascita è tutt’ora un mistero:alcune fonti parlano di 515 a.C, mentre altre indicano il 540. Più omogenee le fonti sulla data della morte, si parla del 445. Figura assolutamente cruciale nel corso della storia della filosofia. Egli partecipò attivamente alla vita politica della sua città alla quale secondo alcune fonti diede addirittura le leggi! Scrisse un poema dal linguaggio enigmatico ed oracolare, “Sulla Natura”, i cui frammenti sono un passaggio imperdibile e trascendentale della storia del pensiero occidentale. Impossibile non fare i conti con queste frasi.

Parmenide: il pensiero e l’opera.

Egli si distingue nettamente dai filosofi dei capitoli precedenti secondo un aspetto fondamentale! L’indagine è ancora naturalistica, ma rispetto ai primi filosofi, cambia la domanda fondamentale, l’indagine sul principio del tutto deve essere preceduta da un’altra indagine, prima bisogna chiedersi che cos’è la natura. I primi filosofi cominciarono quindi dal domandarsi come abbia avuto origine il tutto, mentre Parmenide si chiede prima che cosa sia il tutto! Una notevole differenza di approccio!

Dire cosa sia un qualcosa significa assegnare ad un qualcosa la sua caratteristica fondamentale. Qual’è la caratteristica fondamentale del tutto secondo Parmenide? Secondo lui è quella di essere!Il tutto costituito dalla natura si manifesta prima di tutto come essere! Questa verità viene delineata fin dai primi frammenti.

In tale contesto, la Dea della verità, Aletheia, che si manifesta al giovane poeta mostrando a costui due strade opposte.

Là si trova la porta che divide i sentieri della Notte e del Giorno,

Parmenide, Frammento 1

Questi due sentieri saranno continuamente citati nelle opere di Emanuele Severino, che interpreta la storia occidentale come l’espressione della storia del cammino che segue sentiero della Notte, il sentiero ossia del tradimento della verità dell’essere.

Nel secondo frammento, la Dea spiega meglio al poeta da cosa siano costituite le due vie.

Se molto io parlo, tu accogli e ascolta il [mio] discorso,
quali sole vie di ricerca sono pensabili:
la prima: che è e che non è non essere,
è la strada della Persuasione (infatti accompagna la Verità),
la seconda: che non è e che è necessario che non sia,
questo io ti insegno che è un sentiero del tutto sconosciuto;
né infatti potresti conoscere il non essere (non è infatti possibile)
né potresti esprimerlo.

Parmenide. frammento 2

Questo frammento ha un’importanza fondamentale per l’intera storia della filosofia.  Egli delinea due vie alternative di ricerca, due possibilità, dice che la prima è, la seconda che non è.  Chi legge il frammento 2 ha subito un problema: la mancanza del soggetto, Parmenide non dice di cosa sta parlando. Infatti, notiamo subito che la parola “essere” non è in realtà presente nell’originale: nel frammento infatti vengono semplicemente indicate due vie, una che è ed una che non è. L’interpretazione nel corso della storia è stata quindi decisamente problematica, anche perché non si sa se intendesse il verbo essere in maniera esistenziale, predicativa o anche veritativa!)

Abbiamo due vie di ricerca: una dice che questa cosa è, l’altra che non è. Parmenide fin da subito afferma che la seconda via sia impercorribile, quello è un sentiero dove nulla  si apprende. Infatti,non potresti conoscere ciò che non è, quindi tutto ciò che conosci è. non potresti nemmeno esprimere il non essere, nel linguaggio non può essere espressa.

Parmenide esprime quindi di fatto un divieto, ossia quello di pensare e comprendere il nulla. Deduce quindi da ciò le caratteristiche che deve avere la realtà.

Tale realtà deve avere per Parmenide determinate caratteristiche, altrimenti si andrebbe a trasgredire il divieto!

Resta ancora un solo discorso della via
che è: su questa ci sono moltissimi
segni, che l’essere è non generato e imperituro,
è infatti intero e immobile e senza fine:
non qualche volta era o qualche volta sarà, poiché è ora tutto
insieme,
uno, continuo: quale origine infatti cercherai di esso?
Come e donde sarebbe cresciuto? Dal non essere non ti permetterò né
di dirlo né di pensarlo: non è infatti assolutamente dicibile né pensabile
ciò che non è. Quale necessità avrebbe spinto lui,
se cominciasse dal nulla, a nascere dopo o prima?
Quindi è necessario o che sia del tutto o che non sia per nulla.
Non mai forza di certezza concederà che dall’essere
nasca qualcosa accanto ad esso: a causa di ciò la Giustizia

non gli concesse né di nascere né di perire sciogliendolo dalle catene,
ma lo tiene fermo; la scelta riguardo a queste cose sta in questo:
è o non è; si è giudicato dunque, come è necessità,
di abbandonare una via che è non pensabile e non nominabile
(non è infatti la via della verità), e che l’altra invece esiste ed è veramente.

Parmenide, Frammento 8

Viene quindi reputato di fatto assurdo il tentativo dei suoi predecessori di andare a cercare un principio, un’origine in grado di spiegare il tutto, esattamente perché il tutto non può avere origine! Se l’essere, l’unica autentica realtà, potesse avere origine, ci sarebbe un momento nel quale l’essere non era, il che è contro la legge dell’essere! L’essere deve quindi essere ingenerato. Deve essere per forza anche eterno, perché altrimenti ammetteremmo un certo momento nel quale non sarà più!

Deve essere inoltre unico, se fosse molteplice ognuna delle parti non sarebbe l’altra: questo problema verrà risolto da Platone, che introdurrà nel Sofista il non essere relativo. Lo vedremo però a ragion veduta! Non deve neppure esserci mutamento, altrimenti una cosa potrebbe diventare il suo altro, potrebbe smettere di essere sé stessa

Possiamo parlare di monismo per esprimere la visione di Parmenide. Secondo egli, solo l’essere è, ed ha le caratteristiche appena citate.

Noi però abbiamo dall’esperienza tutt’altre indicazioni: vediamo una realtà molteplice, diveniente, corruttibile. Parmenide impone di rifiutare gli inganni a noi forniti dai sensi.

Certamente giammai infatti questa cosa può essere imposta,
che le cose che non sono siano:
ma tu da questa via di ricerca allontana il pensiero
né l’abitudine esperimentata ti spinga lungo questa via,
a dirigere l’occhio che non osserva e l’orecchio rimbombante
e la lingua, ma giudica con la ragione la molto combattuta prova
da me esposta.

Frammento 7

Dando ascolto all’occhio che non vede ed all’orecchio che non sente non arriveremo mai alla verità dell’essere. Grazie alla ragione, siamo in grado di afferrare la verità dell’essere e, nonostante ciò che dicono i sensi, arrivare secondo Parmenide ad appoggiare le sue tesi. Se ci fermiamo al dominio dei sensi, non raggiungeremo mai la verità dell’essere.

Ma allora, che ne è della realtà che vediamo con i sensi? Viene relegata a qualcosa di illusorio, che in realtà non può sussistere. E questo pare essere un grave problema presente in Parmenide, come si vedrà nel prossimo paragrafo.

Il parere di Severino

Nonostante sia superficialmente definito come un Neoparmenidista, l’opinione di Severino su Parmenide è assai complessa.

Questa figura ha l’indubbio merito per Severino di essere stato il primo che ha individuato i due sentieri, ed il primo ad esprimere in modo esplicito la verità dell’essere.

Però, non solo è stato il primo ad aver scoperto la verità. E’ stato anche il primo nichilista della storia: nonostante abbia scoperto il sentiero del giorno, è stato anche il primo ad incamminarsi nel sentiero della notte. Perché? Per la sua interpretazione delle differenze, delle cose molteplici dell’esperienza.

Egli dice che di fatto queste cose non sono, perché solo l’essere è ed è unico, non molteplice. Così facendo però si contraddice: di fatto relega le differenze al nulla!

Ma per Parmenide l’essere non è le differenze che si presentano nell’apparire del mondo; le molteplici determinazioni manifeste sono soltanto illusioni. Parmenide è anche il primo responsabile del tramonto dell’essere. le differenze sono non essere, sono esse stesse il nulla

Severino, Ritornare a Parmenide

Il titolo del saggio può essere problematico: una lettura superficiale potrebbe far intendere che Severino intenda ritornare e ripetere quello che ha fatto Parmenide. In realtà significa ritornare per modificare alcune cose dette da Parmenide! Severino infatti accetta l’eternità dell’essere e l’impossibilità del diventar altro, ma nega il fatto che l’essere sia unico e che si releghino contraddittoriamente ad illusioni, a cose che non sono, le differenze.

Severino infatti non è contrario al concetto di non essere relativo platonico ed al relativo parricidio: il fatto che la sedia non sia il tavolo non fa di essa un nulla!

E’ quindi legittimo per Severino rincondurre le differenze all’interno dell’orizzonte dell’essere. L’importante però è che questi enti tra loro differenti siano concepiti come eterni! Platone ha ragione quando introduce il non essere relativo, ma sbaglia perché non concede l’eternità a questi enti!

Questo argomento sarà approfondito in seguito ed a ragion veduta!

Nel prossimo capitolo vedremo come l’eredità parmenidea sarà molto pesante in relazione al pensiero dei filosofi naturalisti successivi.

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