Søren Kierkegaard: l’immortalità di un uomo . Di Chiara Maiova.

giovane

Con questo scritto la mia volontà non si limita a ricordare il pensiero di uno dei maggiori autori dell’800: sarebbe riduttivo e il nome del filosofo risulta di per sé altisonante. Mi muove una bramosia differente: spogliare il giovane Søren dell’abito ingessato di mero pensatore spesso affibbiatogli e ritrovarlo nella quotidianità. L’austerità che aleggiò in casa Kierkegaard contribuì notevolmente alla rigidità di pensiero del filosofo danese, sin da subito vòlto alla filosofia e alla teologia. La vicinanza con l’attività pastorale del padre influenzò i suoi studi puerili e il sentore di un fantomatico senso di ‘peccato’ ,che albergò come uno spettro tra le mura della sua dimora, rappresentarono i capisaldi con cui il fanciullo crebbe.Fu la miscela di interesse filosofico (non mancò,infatti, il gusto per la filosofia greca,nello specifico l’ammirazione per Socrate)commista ad uno slancio fideistico ad edificare sapientemente un’ideologia che gettò le fondamenta per la costruzione dell’esistenzialismo novecentesco.

Il pensiero dell’autore ,di primo acchito ,appare come esclusivamente legato ad un credo esasperato (nel “Diario “Kierkegaard definisce l’esperienza di fede ‘il suo pungolo nella carne”) ma la realtà è ben diversa: da parte nostra soggiace la mancata comprensione del suo filosofare, talvolta oggetto di una rapida ed erronea analisi.

L’architettonica filosofica che il giovane Søren contribuì a realizzare è definibile come filosofia del singolo, un singolo privo di atomizzazione e, anzi ,più umanizzato che mai, in netta antitesi con l’assai idolatrata ragione idealista : insomma, Kierkegaard non apprezza il sistema hegeliano e quell’unica ragione dipanata nel mondo gli appare mendace e oggetto di derisione. Il giovane danese, interiorizzando la possibilità dell’individuo di modulare la realtà nel suo intimissimo rapporto con l’Assoluto, farà deragliare la propria esistenza nella condizione di angoscia.

Smanioso di analizzare ogni cavillo di sé il giovane Søren inciampa nel sentimento amoroso per la giovane Regine Olsen , fanciulla con cui sancirà un fidanzamento apparentemente duraturo: avvertitosi schiacciato dal peso della scelta, deciderà di troncare la storia d’amore, non senza infinita sofferenza. È in questa piega del suo vissuto che si staglia nitidamente un intrinseco e silente insegnamento: la comprensione della potenzialità di scelta di cui l’uomo è provvisto provoca un senso di vertigine. È in questo fatidico ed intimo episodio della vita di Søren che riusciamo a spogliare il filosofo dalla veste di pensatore e ritrovarlo nel più calzante abito di uomo: è l’angoscia paralizzante ad instillare dubbi nella mente del fanciullo e a provocare un dolore lacerante ,definibile la ‘malattia mortale’. Sembrerebbe che il filosofo danese si rivolga a noi uomini rammentandoci la nostra condizione e in parte confortandoci riguardo l’unanimità del sentimento provato: ecco perchè il pensiero Kierkegaardiano ci scuote dall’interno, risvegliandoci dal torpore della ragione e fornendo delucidazioni su un sentimento che appare più umano che mai. La vita appare come un crocevia colmo di rovi spinosi eppure regna imperante l’agire che a gran voce grida “AUT AUT!”. L’astensione dalla scelta implicherebbe una scelta in negativo ma è necessario imboccare una strada sebbene il dubbio e il timore riguardo il futuro siano in agguato, con il solo intento di evitare la condizione in cui versa il noto asino di Buridano : deceduto al bivio tra due balle di fieno, in attesa di una terza che apparisse più invitante.

Per Filosomattia.it. Chiara Maiova

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