Leggi fisiche, leggi logiche: come funziona il cosmo? Mario Nenni

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“Le leggi generali sulle quali la struttura della fisica teorica si basa mirano ad essere valide per qualsiasi fenomeno naturale, e compito supremo del fisico è di arrivare a quelle leggi generali e universali da cui costruire il cosmo per pura deduzione”: è questo il pensiero che Einstein consegna all’umanità riguardo la teoria della conoscenza: un fisico, studioso delle regolarità della natura, deve avere come obiettivo di ricerca quello di dedurre la natura stessa da quelle regolarità.

Analizziamo dunque quest’affermazione, con tutte le sue relative implicazioni.

Anzitutto, il cosmologo tedesco fa riferimento a delle leggi elementari quale fondamento gnoseologico da cui procede l’intera realtà per deduzione; tuttavia, esistono diverse tipologie di leggi o princìpi nella nostra realtà: tradizionalmente, sono divise in due grandi categorie: le leggi fisiche e quelle logiche (tra cui anche quelle della matematica): passiamo a descrivere l’origine e il funzionamento di entrambe.

Per legge fisica s’intende una regolarità della natura, intesa come insieme di corpi materiali che interagiscono tra loro. Dunque, poiché la legge fisica ha per oggetto il mondo sensibile, la sua conoscenza dipenderà, in generale, da ogni evidenza empirica di rilievo: queste evidenze saranno catalogate e vagliate dalla ragione, che coglierà le analogie tra i fenomeni analizzati; infine, astraendo queste analogie otterremo la legge fisica, che sarà valida se e solo se:

  • i fenomeni sono stati in precedenza raccolti in modo completo ed esaustivo, ben interpretati e catalogati;
  • la ragione ha astratto correttamente le analogie.

Anche se questa dissertazione potrebbe sembrare ovvia a un lettore moderno, è importante riconoscere che tale “ovvietà” dipende esclusivamente dal bagaglio metodologico proprio della Rivoluzione scientifica; d’altronde, non sono pochi i casi di coloro che, vivendo in una società priva della metodologia galileiana, hanno affermato la validità di corpus di leggi o teorie che si sono alla fine rivelate erronee. Si pensi ad Aristotele che, pur osservando il cielo e i suoi mutamenti (quindi, catalogando fenomeni oggettivamente esistenti come il moto apparente delle stelle), li interpretò male, concludendo la necessità che la Terra stesse al centro del cosmo (quindi astrasse male le regolarità partendo da pochi dati d’esperienza).

La legge fisica è, dunque, il risultato di una corretta cooperazione tra esperienza e ragione, tra cose da astrarre e capacità di astrarle. Tuttavia, è proprio il forte ruolo rivestito dall’esperienza a escludere che siano proprio i princìpi fisici ad essere le “leggi elementari universali da cui dedurre la costruzione del cosmo”: difatti, le leggi fisiche sono regolarità del tutto contingenti, e in nessun caso assurgono al ruolo di principio necessario: una dimostrazione di ciò è il fatto che è possibile immaginare un altro mondo con leggi fisiche del tutto differenti dal nostro, e questo mondo potrebbe esistere: le leggi fisiche sono dunque vincolanti solo nei confronti dei sensi e mai della ragione, e di conseguenza sono sempre vere a posteriori.

Ora passiamo invece all’analisi dell’altro tipo di legge, le leggi logiche, di cui l’esempio più evidente è il principio di non contraddizione: queste, pur essendo continuamente avallate dall’esperienza, la trascendono, e perciò l’unica facoltà umana in grado di coglierle è la ragione: ne è dimostrazione il fatto che, se penso, allora sono sicuro almeno di star pensando (prima ancora di fare il salto di Cartesio da pensiero a realtà): il principio di non contraddizione è pienamente confermato. E, poiché tutte le altre leggi logiche sono in ultima analisi un’applicazione di quel principio, possiamo concludere che tutto il sistema delle leggi logiche è vero a priori, quindi necessario.

Possono quindi le leggi logiche essere i principi elementari universali da cui dedurre la costruzione del cosmo? Certamente esse sono regolarità elementari (perché alla base di qualsiasi conoscenza) e universali (perché valide sempre e ovunque), ma che da queste si possa dedurre la struttura del cosmo è da escludere. Difatti, per deduzione s’intende il meccanismo con cui si passa da una proposizione universale a una particolare in essa contenuta: se fosse possibile dedurre la costruzione del cosmo dalle leggi logiche, ciò significherebbe poter passare da un’affermazione sempre vera (principio di non contraddizione) a una vera a posteriori, quindi possibilmente falsa. Poiché questo non può accadere, in quanto altrimenti sarebbe possibile inferire il falso dal vero, ne consegue che neanche dalle leggi logiche è possibile ricavare la costruzione dell’Universo.

In conclusione, ritengo che questo valorizzi la figura dello scienziato e dello studioso: se infatti fosse possibile da una legge ricavare il funzionamento del cosmo, il suo ruolo sarebbe quello di passivo applicatore di quella legge; siccome invece questo non è possibile, la dignità dello scienziato ne esce rafforzata: una persona con la vocazione alla curiosità, un attivo ricercatore della verità per il bene e il progresso dell’umanità.

Per Filosomattia.it, Mario Nenni!

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