Hemingway a Venezia: recensione di Mattia Tessaro!

Hemingway  venezia romanzo bar

Nota redazionale

Sono lieta di presentare questa recensione del romanzo “Across the River and into the trees” di Hemingway, scritta dal nuovo collaboratore di questo sito, Mattia Tessaro. Andrà ad inaugurare una nuova rubrica che sarà dedicata alla letteratura, che amplia gli orizzonti dopo l’introduzione di quella sulla musica! Non ruberó ora altro tempo e vi lascio subito alle sue parole!

Se non per dirvi che se vi piacciono le recensioni troverete interessante anche questa recensione del Mondo di Sofia!

Il direttore, Mattia Mandalà.

Hemingway a Venezia

A cavallo tra l’aprile e il maggio del 1863, Unionisti e Confederati combattono a Chancellorsville (Virginia) uno degli scontri più importanti della Guerra Civile Americana. I Confederati, guidati dai generali Lee, Jeb Stuart e Stonewall Jackson, sbaragliano gli Unionisti di Hooker con la metà degli uomini. Verrà definita come la Lee’s Perfect Battle. I secessionisti sarebbero stati davvero i favoriti per la vittoria finale, sennonché nel corso di quella battaglia muore il comandante Thomas Jackson, riconosciuto tuttora come uno dei migliori strateghi militari della storia degli Stati Uniti.

È un contraccolpo doloroso per i vincitori della battaglia, se non crudele, considerando che il proiettile colpevole della morte di Stonewall sarebbe partito da un’arma amica. Il dottore che assiste il generale nei suoi ultimi minuti di vita scrive nel suo diario le ultime parole: “Prima di morire, nel suo delirio, gridò “Ordinate a P. Hill di prepararsi per l’azione e dite al Maggior Hawks…” poi si fermò, lasciando la frase incompiuta.

Un sorriso di dolcezza ineffabile gli comparve sul volto pallido, e disse sereno, inespressivo, sollevato “Attraversiamo il fiume e riposiamoci all’ombra degli alberi.”Ernest Hemingway strappa le ultime parole dalla bocca di Stonewall Jackson e, lievemente parafrasate, le eleva a titolo del suo penultimo romanzo, Across the River and Into the Trees, tradotto nelle edizioni italiane come Di là del fiume e tra gli alberi. Lo stesso protagonista del romanzo, il colonnello degradato Cantwell, cita il generale sudista prima di morire nella macchina guidata dal suo autista in direzione Trieste. (Anche se, in realtà, le ultime parole di Cantwell furono diverse e ben meno romantiche “Good. I’m now going to get into the large back seat of this god-damned, over-sized luxurious automobile”.)

L’opera più criticata dello scrittore americano, uscita nel 1950, è un resoconto romanzato del suo ultimo viaggio a Venezia. Come nei suoi precedenti romanzi più famosi, Hemingway presenta il protagonista come un suo alter ego (il giornalista Jake Barnes in Fiesta, il soldato Frederic Henry in Addio alle Armi e il partigiano Robert Jordan in Per chi suona le campane).

Richard Cantwell è un ex generale pluridecorato, carismatico e rassegnato, che nei suoi ultimi giorni di vita intreccia una relazione con la diciannovenne Renata, va a caccia di anatre e beve all’Harry’s Bar di Cipriani. Per la giovane figura femminile, Hemingway si ispira ad Adriana Ivancich, che incontra nel 1948 a Fossalta di Piave e che ha la metà dei suoi anni. I due si reicontrano l’anno successivo a Venezia, dove prende il corpo il romanzo, che verrà pubblicato dopo dieci anni di silenzio letterario. E proprio a un tavolo esclusivo dell’Harry’s Bar, oltre il Canal Grande e all’ombra della Basilica di San Marco, Hemingway batte a macchina, tra conversazioni con Giuseppe Cipriani e trincate di Montgomery Martini Dry.

Se esiste un libro che mi ha deluso, quello è Di là del fiume e tra gli alberi. Per chi avesse intenzione di cominciare a leggere Hemingway, il consiglio è di non iniziare dalle ultime parole di un moribondo. È noioso. I dialoghi sono statici e irreali. Renata rimprovera di continuo al generale di dire cose villane, come potrebbe fare un chiericchetto ogni volta che il nonno si lascia scappare qualche santità.

Ma le battute “villane” di Cantwell sono anche quelle più interessanti di un romanzo soporifero, come:C: “In guerra avevamo più cavi telegrafici che passere in Texas”R: “Per piacere continua a raccontarmi e sii meno villano che puoi. Non so che cosa voglia dire quella parola e non voglio saperlo.» C: “Il Texas è un grande Stato, per questo ho scelto la sua popolazione femminile come simbolo. Non si può dire più passere che nello Wyoming perché là sono meno di trentamila, magari, diavolo, facciamo cinquantamila” oC: “Dovresti avere cinque figli e chiamarli tutti Richard, come me”R: “Richard The Lion-Hearted”C: “Richard The Crap-Hearted”

È la prima settimana di settembre e sto leggendo il romanzo. Quando Cantwell ordina un Montgomery Martini secco, molto secco, dice al garzone “mi raccomando, rapporto quindici a uno”. Non capisco la battuta ma mi rifiuto di leggere la nota esplicativa e penso: “visto che vado all’Università a Venezia, un pomeriggio potrei anche fermarmi all’Harry’s Bar. Ordinerò un Montgomery e prima che il cameriere se ne possa andare, gli prenderò il braccio e gli dirò: “mi scusi, sa per caso perché questo cocktail si chiama così?”. Poi, finito di leggere Di Là del Fiume e tra gli Alberi, cerco online dove si trova il famoso bar di Cipriani. Mezz’ora a piedi dalla stazione, il Martini costa 24€, sempre pieno di americani. Forse non conviene.

Allora una mattina, finita una delle mie prime lezioni da matricola, mi siedo a un bar in zona Cannaregio e mandando giù a centellini un Bellini a cinque euro, leggo sul sito ufficiale dell’Harry’s Bar: “Il Montgomery è più che un semplice cocktail: è l’eredità che Ernest Hemingway ha lasciato al mondo della Mixology. Lo scrittore era solito ordinare al banco dell’Harry’s Bar un Dry Martini con una ricetta modificata, secondo una proporzione precisa: “gli piaceva che il vermouth, rispetto al gin, non superasse la proporzione di uno a quindici, la stessa proporzione – diceva – con cui il famoso generale inglese Montgomery riusciva a combattere durante la Seconda Guerra Mondiale: quindici dei suoi soldati contro uno del nemico.”

Per filosomattia.it, Mattia Tessaro!

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